A cinquant’anni dalla guerra di Cipro: una ferita ancora aperta che ostacola la pace

Cipro è un’isola che racchiude millenni di storia e civiltà, situata nel cuore del Mediterraneo orientale, dove Europa, Asia e Medio Oriente si sfiorano. Crocevia di popoli e dominazioni, Cipro è stata forgiata da secoli di incontri, scontri e contaminazioni culturali. Ma oltre al fascino delle antiche rovine e alla stratificazione culturale che la rende unica, c’è un’altra storia che ancora oggi segna profondamente la sua identità: quella del conflitto e della divisione.

Il 20 luglio 2024 ha segnato il cinquantesimo anniversario della guerra di Cipro, un conflitto scoppiato nel 1974 a seguito di un colpo di Stato sostenuto dalla giunta militare greca e dell’intervento armato della Turchia. Un evento drammatico che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia contemporanea dell’isola, portando alla sua partizione in due entità distinte: la Repubblica di Cipro, internazionalmente riconosciuta, e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. Un’area che, sotto il profilo geopolitico e giuridico, rappresenta una delle “zone grigie” più complesse d’Europa.

Nonostante la fine delle ostilità, la pace che ne è seguita è rimasta fragile e incompleta. L’isola è tutt’oggi divisa da una linea di demarcazione — la cosiddetta “Linea Verde” — sorvegliata dalle Nazioni Unite. Una cortina di filo spinato attraversa città, villaggi e campagne, tagliando in due anche la capitale Nicosia, l’ultima capitale divisa d’Europa. Le ferite del conflitto sono ancora visibili, non solo nella memoria collettiva, ma anche nei luoghi: basti pensare al quartiere fantasma di Varosha/Marash, un tempo località turistica tra le più rinomate del Mediterraneo, oggi congelata nel tempo, divenuta simbolo di ciò che è andato perduto — e, in modo controverso, attrazione turistica e spazio di riflessione storica.

Ripercorrere la storia di Cipro – e in particolar modo la storia degli eventi che l’anno portata a essere oggi un’isola divisa – significa guardare al passato per comprendere il presente e interrogarsi sul futuro. Significa confrontarsi con una ferita ancora aperta, ma anche con la straordinaria resilienza di un popolo che continua a vivere, amare e costruire, da entrambi i lati del confine.

Torniamo dunque al 1974. Il conflitto di quell’anno non fu un evento isolato, ma l’epilogo di una crisi dalle radici profonde. La dominazione britannica, iniziata alla fine dell’Ottocento con la trasformazione di Cipro prima in protettorato e poi in colonia, alterò intenzionalmente i rapporti storicamente pacifici tra le comunità greche e turche. Per secoli, queste comunità avevano convissuto senza particolari contrasti o episodi di violenza, pur con tradizioni diverse. Tuttavia, tra gli anni Venti e Sessanta del secolo scorso, la Gran Bretagna contribuì deliberatamente ad alimentare le divisioni, favorendo l’ingresso del nazionalismo greco e di quello turco. Questo processo portò a una forte polarizzazione delle due comunità, ciascuna orientata verso un sentimento identitario con le rispettive madrepatrie.

In particolare, il nazionalismo greco si affermò all’inizio degli anni Cinquanta attraverso l’organizzazione EOKA, il cui obiettivo era l’integrazione di Cipro con la Grecia, la cosiddetta “Enosis”. Questa ambizione diede il via a una fase caratterizzata da crescenti violenze, sia contro gli inglesi che contro le comunità turco-cipriote. Le tensioni tra i greco-ciprioti, che costituivano circa il 77% della popolazione e aspiravano all’unificazione con la Grecia, e i turco-ciprioti, circa il 18% che temevano per la loro sicurezza e i loro diritti, aumentarono notevolmente.

Il movimento di indipendenza di Cipro, guidato dall’EOKA, portò all’indipendenza dell’isola nel 1960. Tuttavia, i problemi etnici e le rivalità politiche persistettero. Gli anni ’60 furono segnati da episodi di violenza tra le due comunità, con un rapido deterioramento della situazione che richiese l’intervento dell’ONU nel 1964, con lo schieramento di una forza di pace per mantenere l’ordine.

L’intensificarsi delle violenze e il tentativo dell’EOKA di integrare l’isola alla Grecia alimentarono un forte timore di possibile espulsione tra le comunità turco-cipriote. Questo portò alla nascita di organizzazioni nazionaliste turco-cipriote, che presto ottennero il sostegno del governo turco, inaugurando una fase di crisi ancora più intensa. Sebbene tre garanti internazionali (Turchia, Grecia e Gran Bretagna) avrebbero dovuto gestire gli equilibri locali in base ai trattati di Zurigo e Londra, queste disposizioni furono sistematicamente disattese.

Una nuova ondata di gravi violenze colpì l’isola nel dicembre 1963, rivelando la fragilità del presidente Makarios, che aveva cercato di favorire un equilibrio tra le due comunità. Il ruolo di Grecia e Turchia divenne progressivamente più invasivo nelle dinamiche politiche locali. Le violenze diedero il via a un dibattito politico sulla partizione dell’isola, sostenuto soprattutto dalla Turchia, ma tenacemente osteggiato dai greco-ciprioti. Queste avvisaglie di un possibile intervento militare turco a Cipro furono inizialmente contrastate con decisione dagli Stati Uniti sotto la presidenza di Lyndon B. Johnson. La situazione di Cipro risentì inoltre delle vicende politiche greche, con l’avvento nel 1967 di una giunta militare ad Atene di forte ispirazione nazionalista, che alimentò ulteriormente le già insostenibili tensioni sull’isola.

La crisi raggiunse il suo culmine nel 1974, quando la giunta militare greca sostenne un golpe contro il governo Makarios attraverso l’EOKA. Con la fuga di Makarios dall’isola e la nomina di Nikos Sampson come presidente provvisorio, Cipro entrò in un vortice che vide la Turchia minacciare immediatamente un intervento e pretendere l’applicazione delle clausole di garanzia poste alla base dell’indipendenza del Paese.

In risposta al colpo di Stato e al rifiuto della giunta dell’EOKA di accettare le richieste di Ankara, il 20 luglio 1974 la Turchia avviò l’Operazione Attila, invadendo Cipro con l’intento dichiarato di proteggere la comunità turco-cipriota e riunificare l’isola sotto un governo federale. Le forze turche sbarcarono sulla costa nord e conquistarono rapidamente una parte significativa del territorio. Nonostante la feroce resistenza greco-cipriota, la superiorità delle forze armate turche permise loro di controllare circa il 37% dell’isola in pochi giorni. Questo conflitto portò a un massiccio spostamento della popolazione: oltre 200.000 greco-ciprioti furono costretti a fuggire dalle loro case nel nord, mentre i turco-ciprioti si trasferirono verso il nord.

La guerra di Cipro del 1974 ebbe conseguenze devastanti e durature. La più evidente è la divisione permanente di Cipro in due distinte entità statuali: la Repubblica di Cipro, controllata dai greco-ciprioti nel sud, e la Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. La “”Green Line, la “Linea Verde”, una linea di demarcazione, fu istituita per separare le due comunità ed è da allora sotto il controllo della missione ONU.

Il conflitto causò immense sofferenze umane: migliaia di persone furono uccise e molte altre sfollate, creando insolubili contese riguardo alle proprietà, che ancora oggi risultano di impossibile definizione. Furono perpetrate violazioni dei diritti umani su entrambi i fronti, con atrocità che alimentarono rancori mai sopiti e reciproche accuse di massacri, generando un elevato numero di dispersi. Fosse comuni sono state individuate più volte negli anni successivi al conflitto, alimentando il sospetto di crimini ben più gravi commessi nelle fasi più cruente.

Nei quarant’anni successivi alla fine della guerra, la separazione fisica delle due comunità ha permesso una quasi definitiva cessazione delle violenze, senza tuttavia risolvere il problema politico della divisione dell’isola. Un ostacolo significativo agli sforzi di conciliazione è stata la decisione unilaterale delle autorità turco-cipriote nel 1983 di autoproclamarsi uno stato indipendente, riconosciuto solo dalla Turchia, il che interruppe bruscamente il dialogo politico locale.

Nonostante numerosi tentativi di riavviare tale dialogo negli ultimi vent’anni, le due parti non mostrano particolare interesse per la ripresa del processo negoziale, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite. Un evidente fattore che ostacola la ripresa del dialogo è di natura generazionale. I giovani delle due comunità non hanno memoria diretta del conflitto e delle sofferenze che aveva provocato, e sono meno permeati dal nazionalismo che aveva caratterizzato le generazioni precedenti. Questi giovani guardano con maggiore interesse alla possibilità di una soluzione e pongono meno ostacoli al dialogo. Al contrario, la “generazione del conflitto”, che continua a esprimere una parte rilevante della classe dirigente in entrambi i contesti, è ancora profondamente condizionata dalla memoria della guerra, delle violenze e delle conseguenze pratiche, soprattutto legate alla perdita delle proprietà immobiliari e terriere. Questa generazione mantiene un profilo di ostilità che, in sostanza, tiene in ostaggio il futuro dell’isola e la sua possibile evoluzione verso una piena pacificazione.

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