L’insegnamento della scrittura: Kurt Vonnegut e i corsi di scrittura creativa

Kurt Vonnegut (1922-2007) non era solo un maestro di narrazione, ma anche un insegnante riflessivo. La sua esperienza diretta con i laboratori di scrittura creativa e le sue osservazioni sul mestiere di scrivere e di insegnarlo offrono una prospettiva interessante sul valore di tali programmi. Lontano dall’immagine del “duro” che disprezza l’istruzione formale, Vonnegut difendeva l’esistenza e la proliferazione dei corsi di scrittura, rivelando non solo la loro utilità pratica ma anche il loro profondo impatto sullo sviluppo personale.

La connessione di Vonnegut con l’insegnamento della scrittura creativa è profonda e personale. Nel 1965 e 1966, insegnò a tempo pieno al laboratorio di scrittura dell’Università dell’Iowa, un periodo in cui, come confessò, era “andato in bancarotta, fuori stampa e con molti figli”, avendo disperatamente bisogno del lavoro. Fu proprio durante questo periodo che iniziò a scrivere il suo romanzo “Mattatoio n. 5”. L’Iowa Writers’ Workshop era un rifugio per molti scrittori in difficoltà economiche, e Vonnegut ricorda con gratitudine Paul Engle, che “non solo dirigeva ma personificava ed elettrizzava il laboratorio per molti decenni”, affermando che la Guardia Costiera avrebbe dovuto dargli una medaglia per tutte le vite di scrittori professionisti che aveva salvato dall’annegamento economico. Tra questi scrittori salvati vi furono Nelson Algren e il cileno José Donoso, che si unirono a Vonnegut a Iowa City, e un anno dopo anche Richard Yates, definito da Vonnegut come “uno degli scrittori più eccellenti” che avesse mai incontrato. Engle estendeva il suo “soccorso” anche ai poeti, amministrando “la RCP sotto forma di stipendio” a figure come George Starbuck, John Berryman, Marvin Bell, James Tate, Robert Dana e Robert Lowell. Nonostante siano passati decenni, Vonnegut rammenta chiaramente anche i nomi di alcuni studenti di quel periodo, tra cui Andre Dubus, Gail Godwin, Barry Jay Kaplan, Rick Boyer, John Irving e John Casey. Ricorda persino nomi come Tennessee Williams e Flannery O’Connor, scherzando sulla loro sorte.

Quando si parla di corsi di scrittura creativa, Vonnegut nota due risposte quasi automatiche, specialmente da parte di un pubblico sofisticato. La prima è una domanda scettica e tagliente: “Si può davvero insegnare a qualcuno come scrivere?”. Vonnegut stesso ricevette questa domanda da un editore. La seconda è la leggenda del “duro” scrittore americano, che, per dimostrare la sua virilità, risponde a una classe di scrittura creativa con un “Che diavolo ci fate qui? Andate a casa e incollate i vostri culi a una sedia, e scrivete e scrivete finché non vi cade la testa!”.

Vonnegut, tuttavia, ribalta queste narrazioni. La sua replica diretta è che “c’erano insegnanti di scrittura creativa molto prima che ci fossero corsi di scrittura creativa, e si chiamavano e continuano a chiamarsi editori”. Spiega che lo stesso editore che gli ha posto la domanda è stato a sua volta istruito dagli editori. Anche lo scrittore “duro” che sputava sul pavimento, molto probabilmente, come Vonnegut, consegnava manoscritti al suo editore che necessitavano di essere sistemati. Se il “duro” fosse stato Thomas Wolfe o Ernest Hemingway, entrambi avrebbero avuto lo stesso insegnante di scrittura creativa: Maxwell Perkins, reputato uno dei più grandi editori di narrativa di tutti i tempi, che suggeriva, basandosi sulla sua lunga esperienza, come lo scrittore potesse “pulire i pasticci sulla carta che aveva fatto”.

La tesi di Vonnegut è semplice: “Un corso di scrittura creativa fornisce editori esperti per dilettanti ispirati”. Egli si chiede cosa potrebbe esserci di più semplice, dignitoso o divertente. Ricorda che, quando lui stesso lasciò un buon lavoro alla General Electric per diventare uno scrittore freelance quindici anni prima, c’erano solo due programmi di laurea che accettavano racconti, poesie o romanzi al posto delle tesi: Iowa University e Stanford. Non aveva frequentato nessuno dei due, ma riconosce che sarebbe stato un bene per lui. Vance Bourjaily, un membro permanente della facoltà della Iowa University al tempo di Vonnegut, espresse rimpianto per non aver fatto un apprendistato all’Iowa University o a Stanford, affermando che ciò gli avrebbe risparmiato “i diversi anni sprecati cercando di scoprire da solo il modo migliore per raccontare una storia”. Questo sottolinea un punto molto importante: “Si sa molto su come raccontare una storia, regole per la socialità, per come essere un amico per il lettore affinché il lettore non smetta di leggere, come essere un buon appuntamento al buio con un totale sconosciuto”. Vonnegut cita persino Aristotele, parafrasandone le regole: se si vuole essere comici, si scriva di persone a cui il pubblico può sentirsi superiore; se si vuole essere tragici, si scriva di almeno una persona a cui il pubblico si sentirà inferiore, e non è consentito risolvere i problemi umani con la fortuna o l’intervento divino.

Un’altra intuizione significativa di Vonnegut riguarda le qualità dei migliori insegnanti di scrittura. Sottolinea che “i migliori insegnanti di scrittura creativa, come i migliori editori, eccellono nell’insegnamento, non necessariamente nella scrittura”. All’Iowa University, pur insegnando in compagnia di “celebrità letterarie”, i più utili insegnanti erano due scrittori meno noti, William Cotter Murray ed Eugene Garber. Questo suggerisce che l’abilità di trasmettere conoscenza e insegnare agli studenti è più importante della propria fama letteraria.

La proliferazione dei programmi di scrittura creativa, che ora sono almeno un centinaio nelle università americane e persino a Lipsia, in Germania, come Vonnegut scoprì, potrebbe sembrare uno scandalo date le scarse probabilità di guadagnarsi da vivere scrivendo storie o poesie. Tuttavia, Vonnegut nega questa idea. Afferma che il “beneficio primario della pratica di qualsiasi arte, sia essa buona o cattiva, è che permette all’anima di crescere”. Per questo motivo, la diffusione dei corsi di scrittura creativa è “sicuramente una buona cosa”. Molti di questi corsi sono nati in risposta alle richieste degli studenti universitari negli anni ’60, che desideravano che i loro corsi facessero “più uso dei loro impulsi naturali ad essere creativi in modi che non fossero enfaticamente pratici”. Vonnegut stesso ha insegnato ad Harvard per un anno perché gli studenti avevano richiesto un “percorso creativo”.

Il “più grande segreto” sull’Iowa Writers’ Workshop, secondo Vonnegut, era che era “una delle più grandi scuole per insegnanti del mondo”. Questo rivela un aspetto spesso trascurato: i programmi formano non solo scrittori, ma anche educatori capaci di perpetuare l’arte.

Quando insegnava all’Iowa University, poi ad Harvard, poi al City College, Vonnegut aveva un approccio metaforico all’insegnamento. Non lo faceva “in effetti, non realmente,” ma chiedeva a ogni studente di aprire la bocca il più possibile. Poi, con pollice e indice, allungava un “rocchetto di nastro” da un punto direttamente sotto l’epiglottide dello studente. Lo tirava gradualmente, delicatamente, per non far vomitare lo studente. Quando ne aveva tirati fuori diversi metri, in modo che potessero vederlo, lo studente e Vonnegut leggevano ciò che c’era scritto. Questa metafora simboleggia il processo di estrazione e articolazione delle idee e delle storie che sono già dentro ogni individuo, ma che hanno bisogno di guida per essere portate alla luce e comprese. È un atto di liberazione e auto-scoperta facilitato dall’insegnante.

Kurt Vonnegut sfata il mito dello scrittore solitario e autodidatta, promuovendo invece il valore dei corsi di scrittura creativa. Li vede come luoghi dove “dilettanti ispirati” possono trovare “editori esperti” e apprendere le regole del “raccontare una storia”. Ma, forse ancora più importante, li considera un mezzo attraverso il quale l’individuo può nutrire la propria anima e coltivare impulsi creativi innati che trascendono la mera praticità. La scrittura, e il suo insegnamento, diventano così un atto di crescita personale e di connessione umana.

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