Negli anni ’80, le voci della fantascienza erano oggetto di dibattito acceso. Nel maggio del 1981, George R.R. Martin, ha offerto una risposta incisiva e argomentata alle critiche mosse da Thomas M. Disch in un saggio apparso sulla rubrica Books di F&SF. Questo discorso, intitolato “Literature, Bowling, and the Labor Day Group”, non è stato solo una difesa personale, ma una riflessione profonda sulla natura della critica letteraria, le ambizioni artistiche e l’evoluzione di una generazione di scrittori che Disch aveva battezzato, con un misto di ironia e perspicacia, il “Labor Day Group”. Martin apprese del saggio di Disch da amici che gli offrivano condoglianze, assicurandolo che almeno lui “non l’aveva subita così male come Ed Bryant”. Sebbene Martin ritenesse la critica a lui rivolta “abbastanza mite”, la demolizione della storia di Ed Bryant, “giAnts”, fu brutale. Disch dichiarò che un premio a “giAnts” equivaleva a mettere un cartello all’airlock che diceva: “‘Fantascienza – abbandonate il gusto, voi tutti che entrate qui'”.
Il fulcro della critica di Disch, tuttavia, andava oltre le singole opere per abbracciare un’intera generazione di scrittori, etichettandoli come il “Labor Day Group”. Questo gruppo includeva nomi come Vonda McIntyre, Tanith Lee, Jack Dann, Michael Bishop, Orson Scott Card, John Varley e Martin stesso. La tesi di Disch era che questi scrittori fossero eccessivamente influenzati dall’atmosfera da “clubhouse” del mondo della fantascienza e dai suoi sistemi di premiazione, con una rara “visione personale” e un desiderio “invasivo” di piacere al fandom. In essenza, Disch accusava il Labor Day Group di “prostituzione letteraria”, suggerendo che, avendo assistito al “fallimento” della New Wave, fossero diventati “ingegneri dell’intrattenimento competenti” che producevano “fictionware” (un termine dispregiativo coniato da Disch) per il mercato, puntando a “problemi semplici risolti chiaramente da personaggi sani e simpatici”.
Martin, pur riconoscendo l’intelligenza di Disch come scrittore, non risparmiò critiche alla sua analisi. Evidenziò errori fattuali nel saggio, come l’inclusione di Michael Bishop (che non ha mai partecipato a una Worldcon, pur essendo chiamato il “meno rappresentativo” del gruppo) o l’affermazione errata che “Daisy, In the Sun” di Connie Willis fosse la sua prima storia pubblicata. Martin difese strenuamente Ed Bryant e la sua opera “giAnts”, che, pur non essendo la sua storia preferita di Bryant né la migliore scelta per il Nebula, era stata grossolanamente fraintesa da Disch. Disch sembrava credere che la storia riguardasse “insetti giganti”, una visione semplicistica che Martin paragonò all’affermare che il romanzo di Disch, “The Genocides”, fosse solo sull’orticoltura. Martin argomentò che Disch non aveva familiarità con la maggior parte del lavoro di Bryant, uno degli autori più “sottili, complicati e non commerciali” del gruppo. La critica più significativa, tuttavia, riguardava l’accusa di “prostituzione letteraria”. Martin trovò l’attacco “grottescamente sbagliato” e “straordinario”. Mise in discussione la tesi di Disch sui “produttori di fictionware”. Se si volesse “fictionware” rapidamente, si dovrebbe cercare un “New Waver” prolifico come Michael Moorcock, non i membri del Labor Day Group, molti dei quali (come Martin stesso, con un solo romanzo in un decennio, o Ed Bryant, che “agonizza” per produrre pochi racconti all’anno) non erano affatto prolifici. L’idea poi di “personaggi sani e simpatici” era smentita dalle opere di Michael Bishop o Ed Bryant, che affrontavano temi come “l’amore, la morte, la sessualità umana, la solitudine esistenziale, gli Dei e la moralità”. Martin concluse che Disch stava attaccando un “uomo di paglia”, e che l’accusa era “vuota e ignobile”, indegna di uno scrittore del calibro di Disch, dimostrando che non aveva né consultato i membri del gruppo né letto una parte significativa del loro lavoro.
Nonostante i disaccordi, Martin trovò un sorprendente punto di accordo con la tesi centrale di Disch: l’esistenza di un “raggruppamento generazionale coerente” tra i giovani scrittori apparsi nell’ultimo decennio. Disch aveva confrontato questo gruppo con i Futurians, una comparazione che Martin ritenne “per niente inappropriata”. Sebbene non ci fossero prove di complotti o convivenze forzate come per i Futurians, Martin riconobbe “importanti comunanze” e “risonanze”, un’atmosfera di “atteggiamenti condivisi” e una “somiglianza di vedute sulla letteratura, la fantascienza, la scrittura”. Proprio come i Futurians avevano rappresentato un movimento letterario in risposta alla fantascienza Campbelliana, Martin credeva che il Labor Day Group stesse spingendo il campo in una nuova direzione.
Una parte significativa della replica di Martin riguardava il ruolo dei premi. Disch accusava il Labor Day Group di prendere gli Hugo e i Nebula “troppo sul serio”, citando lo stesso Martin, che nel suo discorso di accettazione dell’Hugo per “The Way of Cross and Dragon” aveva ammesso di aver “bramato” un Hugo fin dalla sua prima Worldcon nel 1971. Martin non negò questa ambizione, definendola un “desiderio umano normale e naturale”. La sua critica a Disch era che avesse “ribaltato” la sua semplice dichiarazione, insinuando che Martin (e per estensione il gruppo) stessero “deliberatamente scrivendo per vincere premi” o per puntare alla popolarità. Martin affermò con forza: “Non scrivo per i premi, non deformo le mie storie per adattarle a nessun pubblico, a prescindere da ciò che Disch possa pensare”.
La visione più profonda di Martin riguardo al Labor Day Group è la sua teoria che essi rappresentassero una “fusione dei due campi in guerra degli anni ’60”. Erano i “primi figli dell’Era Spaziale”, cresciuti con Heinlein, Andre Norton e i fumetti, con “un piede saldamente nel campo della SF tradizionale, il campo dell’alta tecnologia, dell’alta avventura, dell’ottimismo sconfinato e dei sogni luminosi”. Allo stesso tempo, erano la “generazione del Viet Nam”, “disillusi, interrogativi, idealisti”, che identificavano emotivamente con lo “sforzo” della New Wave. Per Martin, il Labor Day Group non fu il risultato di un fallimento della New Wave che li trasformò in “facchini letterari”, ma piuttosto una “sintesi”. Essi cercavano di colmare la divisione “recente e odiosa” tra narrativa “popolare” e “letteraria”. Il loro obiettivo era “combinare il colore e la verve e il potere inconscio del meglio della SF tradizionale con le preoccupazioni letterarie della New Wave. Sposare il poeta con il razziere. Collegare le due culture”. Martin li descrisse come un “gruppo idealista” e “sognatori fin dall’inizio”.
Martin concluse con una riflessione sul futuro della fantascienza, notando un “raggruppamento post-Labor Day” di scrittori più giovani e commerciali, forse troppo “superficiali” e “indifferenti all’arte”. Tuttavia, rimase ottimista riguardo al suo gruppo: scommise che la SF più emozionante degli anni ’80 e ’90 – i romanzi che avrebbero “entusiasmato, commosso, insegnato e sarebbero rimasti con noi per tutta la vita” – sarebbero stati scritti da persone come Varley, Bryant, McIntyre, Benford, e forse anche da lui. Questi lavori avrebbero “aperto nuove strade” e “affermato che la SF fa parte della letteratura nel senso più alto e più nobile, che è e dovrebbe essere arte”. Il discorso si chiuse con un tocco di umorismo che smentiva l’accusa di Disch di confondere la letteratura con il bowling. Martin annunciò che, come prova del loro senso dell’umorismo, il Labor Day Group avrebbe fatto realizzare “magliette da bowling della squadra per la Worldcon”. Un gesto finale che riaffermava la loro integrità artistica e la loro capacità di non prendersi troppo sul serio, pur prendendo molto sul serio la loro arte.