George R.R. Martin e la magia del genere fantasy

Per George R.R. Martin, il fantasy non è una fuga dalla realtà, ma una sua esaltazione. In un breve testo intitolato On Fantasy, l’autore de Il Trono di Spade esprime con parole vibranti e poetiche tutto il suo amore per il genere che lo ha reso celebre nel mondo. Il fantasy, secondo Martin, è la lingua stessa dei sogni. È il luogo dove l’immaginazione si fa carne, colore, sapore e suono. Dove la vita non è sbiadita e grigia, ma intensa come un incantesimo che, almeno per un attimo, ci fa sentire più vivi del reale.

Nella sua visione, la realtà è monotona, spesso deludente: fatta di “compensato e plastica”, “centri commerciali di periferia” e “garage a Newark”. Il fantasy, invece, è “argento e scarlatto”, “zafferano e lapislazzuli”, e profuma di spezie forti, di carne al sangue e vini dolci come l’estate. È una dimensione dove si vola con le ali di Icaro, e non con un volo low cost per l’ennesima meta omologata. È il luogo delle torri di Minas Tirith, delle pietre di Gormenghast, delle leggende arturiane. È il regno delle meraviglie che un tempo ci cullavano da bambini e che, da adulti, cerchiamo con nostalgia tra le pagine dei libri.

Per Martin, la funzione più profonda del fantasy è ricordarci chi eravamo, chi siamo e chi vorremmo essere. Non è un mondo più semplice, ma un mondo più ricco, che parla alla parte più antica e sincera di noi. Lontano dai compromessi della modernità, il fantasy ci permette di riscoprire la meraviglia, la speranza, il desiderio di avventura e amore eterno (magari “a sud di Oz e a nord di Shangri-La”).

Ed è con una provocazione poetica che Martin chiude il suo elogio: “Possono tenersi il loro paradiso. Quando morirò, preferirei andare nella Terra di Mezzo”. Perché, per lui — e per milioni di lettori — il fantasy non è evasione, ma una verità alternativa, forse persino più autentica, che ci consente di sognare in grande, ancora e ancora.

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