La rinascita di Pompei e delle città sepolte dal Vesuvio non è solo una storia di pietre dissepolte, ma l’inizio di un’intera disciplina: l’archeologia moderna. Quel che oggi affascina milioni di visitatori e studiosi da tutto il mondo è il frutto di secoli di scavi, scoperte e straordinari progressi nel metodo scientifico.
I primi resti di Pompei furono scoperti alla fine del XVI secolo dall’architetto Domenico Fontana, durante i lavori di un canale. Ma fu solo un assaggio del tesoro che giaceva sotto metri di cenere. Più fortunata fu la scoperta di Ercolano nel 1709, quando venne alla luce il teatro della città durante la costruzione di un pozzo. Da lì, nel 1738, iniziarono i primi scavi sistematici voluti da Don Carlos, re di Napoli (il futuro Carlo III di Spagna).
Per Pompei, invece, gli scavi cominciarono soltanto nel 1748, e fu solo nel 1763, con il ritrovamento dell’iscrizione “Rei publicae Pompeianorum”, che si poté identificare con certezza il sito come l’antica città di Pompei.
L’ingegnere militare Karl Weber, su incarico di Don Carlos, fu tra i primi a realizzare studi sistematici (1750-1764). Tuttavia, gran parte degli scavi iniziali furono condotti da cercatori di tesori e operai privi di formazione, spesso più interessati agli oggetti preziosi che alla conservazione della storia.
Una svolta decisiva si ebbe nel 1860 con la nomina dell’archeologo Giuseppe Fiorelli a direttore degli scavi. A lui si deve l’impostazione metodologica degli scavi pompeiani: Fiorelli suddivise Pompei in nove regioni, con insulae (isolati) numerati e un sistema preciso per identificare ogni abitazione. Introdusse anche una tecnica rivoluzionaria: i calchi in gesso dei corpi, ottenuti versando gesso liquido nei vuoti lasciati dai corpi disintegrati sotto la cenere vulcanica. Questo permise di restituire forma e umanità alle vittime dell’eruzione.
Dopo una lunga pausa dovuta alle guerre, gli scavi ripresero con grande intensità nel 1951, sotto la direzione di Amedeo Maiuri, che aveva assunto la guida degli scavi già nel 1924. Maiuri portò alla luce vaste aree a sud della Via dell’Abbondanza, nelle Regioni I e II, e liberò i cumuli di detriti esterni alle mura cittadine, rivelando tra l’altro la Porta di Nocera e l’antica necropoli che si estendeva lungo la strada per Nuceria.
Già negli anni ’90, circa due terzi della città di Pompei risultavano scavati, rendendola uno dei siti archeologici più estesi e suggestivi del mondo.
Non solo Pompei ed Ercolano: tra il 1749 e il 1782, per volontà di Don Carlos, furono scoperte 12 ville tra Stabia e Gragnano. Alcune di esse vennero nuovamente interrate per proteggerle, ma altre – come la celebre Villa dei Misteri, famosa per i suoi affreschi enigmatici – sono oggi visitabili.
Altre ville romane sono emerse a Scafati, Domicella, Torre Annunziata e lungo le pendici del Vesuvio nei pressi di Boscoreale e Boscotrecase. Tra le più notevoli vi è la Villa di San Marco, a Stabia, con due grandi peristili e ambienti termali straordinariamente conservati.
Il recupero di Pompei ed Ercolano non è solo una pagina affascinante della storia antica, ma un punto di svolta nella conoscenza del passato. Questi scavi hanno gettato le basi dell’archeologia moderna, trasformando il modo in cui guardiamo alle civiltà sepolte dal tempo. Grazie al lavoro di generazioni di studiosi, oggi possiamo attraversare quelle strade, entrare nelle case, leggere i graffiti sui muri e toccare con mano il quotidiano di duemila anni fa.
Pompei continua a raccontarci, pietra dopo pietra, la grandezza e la fragilità della civiltà umana.