Nel cuore dell’estate del 1984, in quel di Kearney, Nebraska, George R.R. Martin si presentò come Ospite d’Onore a Electracon. Lontano dai riflettori che oggi lo illuminano, Martin scelse di condividere con il pubblico una narrazione profondamente personale e ricca di umorismo sulle origini improbabili della sua carriera di scrittore, un percorso che egli stesso definisce tutt’altro che “inevitabile”. Il suo discorso, intitolato “Dal porto alla fantascienza: un viaggio inatteso”, è una cronaca affascinante di coincidenze, incontri fortuiti e un debito inestimabile nei confronti di un fandom nascente e imperfetto.
Martin inizia il suo intervento esprimendo il piacere di essere a Electracon e la gratitudine per il ruolo di Ospite d’Onore. Con la sua tipica autoironia, ammette che all’inizio della sua carriera di scrittore non avrebbe mai immaginato che lo avrebbe portato a Kearney, Nebraska, una città di cui, confessa, probabilmente non aveva mai sentito parlare. Nato e cresciuto a Bayonne, New Jersey, la sua conoscenza delle città americane era all’epoca limitata alle vicine Hoboken, Secaucus, Paramis e ad altre località del New Jersey, oltre a quelle con importanti squadre di baseball della National League. Kearney, a suo dire, non rientrava in nessuna delle due categorie.
Questo viaggio da Bayonne, New Jersey, a Kearney, Nebraska, descritto anche come un passaggio attraverso Santa Fe, Dubuque e Chicago, non riguarda i voli aerei, ma il suo percorso di vita. Martin rifiuta con forza l’idea che la sua carriera fosse predestinata. Sebbene ammetta di possedere qualità invidiabili come essere “brillante, spiritoso, affascinante, un gran bel vestito, gentile con sua madre e molto divertente a una festa”, e persino di conoscere tutte le parole della sigla di “My Mother, the Car”, egli insiste che senza la scrittura, queste credenziali non sarebbero bastate a portarlo lì. Per Martin, la vita, e la sua in particolare, non ha nulla di inevitabile. Ma come diavolo ha fatto il figlio di un portuale di Bayonne a finire a parlare a un gruppo di fan di fantascienza del Nebraska?
La risposta, in larga parte, risiede in Robert A. Heinlein. Martin spiega di aver iniziato a scrivere fantascienza perché, anni prima, aveva iniziato a leggerla. Il catalizzatore fu un libro intitolato “Have space suit, will travel”, un regalo di Natale ricevuto da un’amica di sua madre. Era un’edizione con copertina rigida, un “juvenile” (romanzo per ragazzi), ma per lui non sembrava affatto un libro per ragazzi. Descrivendolo come “ottima roba, roba favolosa”, Martin ricorda personaggi come Kip e PeeWee, e scene come il concorso Skyway Soap e la Terra sotto processo davanti alle Tre Galassie. La frase finale, “Prenditi il nostro sole! Ne faremo un altro, o moriremo provandoci. Morire provandoci è la cosa più orgogliosa dell’essere umano”, lo “agganciò” irrevocabilmente. La sua “lettura vorace” di fantascienza iniziò in quel momento e non si fermò mai.
Martin riflette sulla contingenza di quel momento. Il Natale successivo, la stessa donna gli regalò un altro romanzo per ragazzi con copertina rigida, questa volta su un pastore. Martin si chiede: se l’ordine dei regali fosse stato invertito, le pecore avrebbero sostituito le tute spaziali nei suoi sogni ad occhi aperti? Se così fosse, non sarebbe mai diventato uno scrittore, poiché il mercato per le storie di pecore non era quello di una volta.
Molto prima dell’incontro con Heinlein, Martin era già un avido lettore di fumetti, e il suo amore per Superman, Batman e i Challengers of the Unknown non diminuì con la scoperta di nuovi eroi della fantascienza. Ricorda un “breve episodio” in sesta elementare in cui decise di essere “troppo vecchio e troppo maturo” per i fumetti e regalò tutti i suoi Superman. Fortunatamente, questa “aberrazione” durò solo sei mesi, e ricominciò a comprare fumetti giusto in tempo per accaparrarsi i primi numeri di Spiderman e dei Fantastici Quattro, assicurandosi fortuitamente la pensione.
Il suo amore per i Fantastici Quattro era tale che, all’inizio del liceo, scrisse una lettera alla rivista, che venne pubblicata. Martin la descrive scherzosamente come una lettera “equilibrata, perspicace, intelligente”, il cui punto principale era che “Shakespeare doveva farsi da parte ora che Stan Lee era arrivato sulla scena”. Questa pubblicazione, seppur “in un certo senso”, fu il suo primo ingresso nel mondo della stampa professionale.
Questa lettera ebbe due conseguenze inattese. La prima fu una bizzarra telefonata interurbana dalla Louisiana, ricevuta mentre guardava l’episodio “Demon with a Glass Hand” di Outer Limits. Il chiamante, che aveva letto la sua lettera sui Fantastici Quattro, si era procurato il suo numero e voleva solo parlare di fumetti. Affermava di avere vent’anni e di essere “favolosamente ricco”, tanto da offrirsi di comprargli un’auto quando Martin menzionò che la sua famiglia non ne aveva una. Martin, tredicenne e senza patente, rifiutò l’offerta. Continuarono a parlare di fumetti per circa un mese, finché il chiamante smise. La verità venne a galla quando un investigatore della Ma Bell contattò Martin: il misterioso chiamante non era né ricco né ventenne, ma un tredicenne che, usando vari nomi falsi, aveva telefonato a decine di persone in tutti gli Stati Uniti, accumulando una bolletta telefonica di circa 37.000 dollari per il nonno. Questo fu, a suo modo, il suo primo contatto con il fandom.
L’altra conseguenza della lettera fu una chain letter. Martin non ne aveva mai ricevuta una e ne rimase impressionato. La lettera prometteva 64 dollari in quarti di dollaro se avesse spedito un quarto al nome in cima alla lista, copiato la lettera, rimosso il nome superiore, aggiunto il suo in fondo e spedito quattro copie ad amici. Convinto che 64 dollari fossero “tutti i soldi dell’universo”, sufficienti per 533 fumetti o 182 Ace Doubles, Martin inviò il suo quarto. Non ricevette mai i 64 dollari.
Ma accadde qualcosa di inaspettato. L’uomo in cima alla lista, colui che ricevette il suo quarto, pubblicava una fanzine di fumetti, anch’essa al prezzo di venticinque centesimi. Senza alcuna lettera allegata al quarto, l’uomo gli spedì una copia della sua fanzine. Era riprodotta con il ciclostile, come la maggior parte delle fanzine di quel “periodo preistorico”, con arte e scrittura “rozze”. Ma era piena di gente che parlava di fumetti senza accumulare bollette telefoniche esorbitanti, e conteneva recensioni di altre fanzine. Così, un “innocente studente di liceo fu risucchiato nella vorace fauce del fandom fumettistico”.
Fu proprio durante quegli anni del liceo, come fan di fumetti, che Martin iniziò il suo processo per diventare scrittore. Aveva scritto per tutta la vita, come la maggior parte degli scrittori. La sua prima “magnum opus” mai completata fu la storia fittizia di un regno immaginario, un’epopea di “combattimenti con la spada, intrighi dinastici, oppressione, rivoluzione, guerre, tradimenti e valorosità somma”, i cui protagonisti erano le sue tartarughe domestiche, che vivevano in un castello giocattolo sulla sua scrivania. Scherzosamente, si potrebbe dire che iniziò con un “racconto di conchiglie e stregoneria”. Ebbe anche una brevissima carriera professionale, scrivendo storie di mostri per gli altri bambini del suo quartiere, pagato a pagina. Nonostante il successo iniziale e il raggiungimento di un “nichelino” per storia, la carriera si interruppe quando un cliente iniziò ad avere incubi e sua madre si lamentò con la madre di Martin.
Quella scrittura precoce era per Martin un atto solitario, un “gioco”, un “divertimento privato” che abbandonava quando si annoiava. Non pensava che gli altri volessero leggere le sue storie. Ma poi arrivò la chain letter, il quarto appiccicoso e il fanzine. Il contenuto delle fanzine lo affascinava, nonostante la “terribile” narrativa. Martin ricorda in particolare uno scrittore di storie di supereroi (chiamate “text story”) di circa quattro pagine dattiloscritte, con tredici supereroi e un’orda di cattivi, ma senza trama e senza un solo dialogo. L’autore non sapeva cosa fosse il dialogo e scriveva frasi come: “Il Calamaro Viola disse al Dottor Faccia di Verme di arrendersi, ma il Dottor Faccia di Verme non si arrese, così si presero a pugni”.
Questo scrittore, nonostante la sua mediocrità, era disposto a imparare. Quando i fan gli spiegarono l’importanza del dialogo, la sua storia successiva fu interamente composta da dialoghi, quasi come un’opera teatrale senza indicazioni sceniche. Questo autore “cattivo” fu la sua vera ispirazione. Non Tolkien, non Heinlein, non Stan Lee, ma questo tizio “veniva pubblicato!”. Fu dopo aver letto la sua roba che Martin pronunciò le “parole magiche” che ogni aspirante scrittore deve pronunciare: “Anch’io posso fare di meglio”.
Seduto alla sua vecchia macchina da scrivere manuale con un nastro quasi illeggibile, Martin inventò un solo supereroe, invece di tredici, e iniziò a scrivere. La cosa più difficile fu finire la storia e trovare il coraggio di spedirla. Ma ce la fece. La storia fu accettata, pubblicata, e la gente scrisse dicendo quanto fosse buona. Aveva persino incluso “dialoghi e narrazione nella stessa storia”, un’innovazione.
Martin continuò a scrivere, e le sue storie venivano pubblicate e elogiate. Rimase nel fandom fumettistico per tutto il liceo, affermando che “in un certo senso, fu l’unica cosa che mi tenne sano di mente al liceo”. Passò dalle fanzine ciclostilate a quelle più professionali, e un anno vinse persino un premio per la migliore fan fiction. Sebbene ora riconosca che tali premi sono come “premi per il miglior giocatore di basket nano”, allora significava molto per lui, anche se non ricevette mai il trofeo promesso. Ottenne qualcosa di più importante: fiducia, critica, esperienza. “Sono migliorato”.
Entrato al college, Martin si scriveva con altri scrittori come Howard Waldrop e passò dalle storie di supereroi all’horror e al sword and sorcery. Continuava a scrivere, considerando la scrittura come qualcosa che avrebbe sempre fatto “a lato”, indipendentemente dalla carriera principale. Seguì corsi di scrittura creativa e provò persino a scrivere narrativa per corsi in cui non era previsto, ottenendo la sua prima “bocciatura professionale” per un pezzo di narrativa storica inviato a una rivista accademica.
La sua prima vendita a livello professionale fu “The Hero” a Galaxy nel 1970/1971. La storia si perse due volte per posta e ci volle un anno per essere finalmente accettata. Martin chiamò la rivista e, dopo una conversazione scorbutica, scoprì che la storia era stata acquistata. L’assegno, di 94 dollari, si perse anche quello per posta prima di raggiungerlo. Quei 94 dollari superavano i 64 promessi dalla chain letter, sebbene avessero impiegato molto più tempo. La sua seconda vendita seguì un iter simile di smarrimento postale, finché non scoprì che era possibile vendere una storia senza prima perderla. La sua prima convention di fantascienza avvenne nello stesso periodo.
Martin conclude ribadendo che nulla di tutto ciò era “inevitabile”. Si chiede se avrebbe mai letto fantascienza, o letto del tutto, senza quel libro di Heinlein. E senza quella chain letter e la “giusta” fanzine (una “cattiva” al momento giusto), si chiede dove sarebbe finita la sua vita. Il fandom fumettistico, sebbene rozzo e composto in gran parte da liceali, fu fondamentale: “Mi ha dato un posto dove pubblicare, un posto dove essere cattivo. Le mie storie lì hanno ricevuto le critiche di cui avevo bisogno per migliorare, ma anche l’incoraggiamento di cui avevo bisogno per continuare”. Martin ha imparato più sulla scrittura facendola, che dalle lezioni di inglese del liceo o del college.
Ci furono altri momenti decisivi, come il suo Master in giornalismo nel 1971, che non gli procurò un “vero lavoro”. Questo lo spinse a scrivere, producendo nel corso di un’estate alcune delle sue opere migliori, tra cui “With Morning Comes Mistfall” e “The Second Kind of Loneliness”. Quando si unì a VISTA quell’autunno, il suo percorso era già ben definito: sarebbe stato uno scrittore, “profondamente dentro di sé, questa era la cosa importante”.
Da Bayonne, New Jersey, a Kearney, Nebraska, la strada è stata lunga, ma George R.R. Martin è grato di averla percorsa. Il suo racconto è una testimonianza del potere delle piccole decisioni, dei regali inattesi e, soprattutto, della comunità del fandom che, anche nei suoi momenti più strani e imperfetti, ha fornito il terreno fertile e l’incoraggiamento per la nascita di uno scrittore famoso in tutto il mondo.