George R.R. Martin, nel suo ruolo di Guest of Honor a una convention regionale di fantascienza, confessa di apprezzare molto queste occasioni. Non solo gli offrono la possibilità di incontrare lettori e amici, fare letture e partecipare a panel, ma soprattutto gli forniscono una piattaforma unica per esprimere liberamente i propri pensieri. Martin rivela che per lui, un discorso da Guest of Honor non è solo un’opportunità per annoiare il pubblico o indottrinarlo con le sue opinioni politiche, ma piuttosto per uno scopo “molto più nobile ed edificante”: la vendetta. Nelle sue precedenti apparizioni come Guest of Honor a El Paso e St. Louis, aveva “fatto a pezzi” altri scrittori per le loro dichiarazioni sullo stato dell’arte del genere, trovandola un’esperienza “meravigliosa”. Più recentemente a Biloxi, aveva rivolto la sua attenzione agli editori. Questa volta, ha deciso di concentrarsi sui critici e recensori, un gruppo che a suo parere aveva “quello che si meritava”.
Martin osserva che ultimamente i recensori sembrano attraversare un periodo difficile, con figure come Fred Pohl che li paragonano ai becchini, e numerosi attacchi da parte di altri scrittori come Spider Robinson, Gerald Jonas, e Andrew J. Offutt, che li associa a zecche della febbre maculosa delle Montagne Rocciose. David Gerrold, in un’intervista, ha persino definito la maggior parte dei critici “incompetenti che non sanno scrivere da soli”. Questa percezione diffusa di critica negativa nei confronti dei critici stessi ha spinto Martin a “tirar fuori gli stivali chiodati”.
Nonostante la sua intenzione di attaccare i critici, Martin ammette di essere “dipendente dalle recensioni e dalla critica”. A differenza di alcuni scrittori che affermano di non leggerle o di leggerle solo per divertimento, Martin non solo le legge avidamente, ma mantiene anche archivi di recensioni per tutti i suoi libri, sollecitando regolarmente gli editori a inviargli i nuovi ritagli. Si scopre a “sorridere in modo fatuo” quando riceve una buona recensione e a “covare” quando ne riceve una cattiva. La sua ossessione lo porta persino a cercare recensioni nascoste nei fanzine non inviategli, che spesso trova. Questa passione si estende anche alle critiche del lavoro altrui; la prima cosa che legge in nuove edizioni di Analog o F&SF sono le recensioni di libri. Ha persino scritto della critica lui stesso, sebbene lo consideri “vergognoso ammetterlo”. Questa profonda immersione nel mondo della critica lo rende, a suo dire, pienamente consapevole di ciò di cui parla.
Martin riconosce che il genere fantascientifico non è mai stato oggetto di così tanta attenzione come ai suoi tempi, con un’enorme quantità di critica proveniente da fan, professionisti, accademici e vari comitati. Tuttavia, questa “esplosione critica” ha portato a una qualità complessiva che è “bassa come non mai”. Sebbene esistano ancora critici “decenti” come Algis Budrys, una figura che Martin paragona a Knight e Blish, la crescita esponenziale della critica di cattiva qualità fa sì che il lavoro valido rappresenti una porzione sempre più piccola del totale.
Prima di addentrarsi nelle sue critiche, Martin fa alcune importanti precisazioni.
Non è d’accordo sul fatto che la maggior parte dei recensori siano scrittori falliti. Riconosce che il talento creativo e quello analitico non sempre vanno di pari passo, ma ciò non nega l’esistenza di talenti puramente analitici o critici.
Non intende unirsi alla disputa sull’oggettività o soggettività delle recensioni. Sospetta che entrambe le parti abbiano “parte della verità”, ammettendo che gusti personali, opinioni, filosofie politiche e sociali giocano un ruolo legittimo nella valutazione dei libri. Tuttavia, ritiene “futile sostenere che non esistono standard oggettivi”, citando l'”coerenza interna” come un “buon metro di giudizio oggettivo” per un’opera di finzione.
Non vuole attaccare uno stile specifico di recensione, una teoria critica o una filosofia letteraria. Crede che un genere sano abbia spazio per tutte, considerando la diversità una “benedizione” sia nella narrativa che nella critica. Ammette che alcune recensioni lo irritano, menzionando Spider Robinson, Joanna Russ, John Clute, Barry Malzberg, Lester del Rey e Richard Delap, ma considera questo normale, poiché dal “dibattito e dal dialogo a volte emerge qualcosa che si avvicina alla verità”. Sogno di Martin sarebbe una rivista critica di alta qualità che lasciasse liberi una dozzina di critici talentuosi e diversi su due o tre libri per numero, confrontando le loro opinioni.
Se Martin dovesse gestire una tale rivista, ci sarebbero delle regole “semplici”, ma che la maggior parte dei critici e recensori di fantascienza ignora oggi, portando il campo critico a uno “stato così disastroso”.
1. Errori di Fatto: La prima e più ovvia regola è che ogni critico o recensore ha “l’obbligo morale ed etico di ottenere i fatti corretti”. Martin rivela che circa un terzo delle 26 recensioni del suo romanzo Dying of the Light contengono errori di fatto che avrebbero potuto essere evitati con “semplice attenzione”. Sottolinea come sia inaccettabile che un recensore non si preoccupi nemmeno di scrivere correttamente i nomi dei personaggi. Come ex giornalista e insegnante di giornalismo, considera gli errori “inescusabili” perché si perpetuano. Afferma che se un recensore mostra un “modello coerente di errore, distorsione e mezze verità”, non dovrebbe essere pubblicato, indipendentemente dal fatto che sia divertente o che gli errori siano “banali”.
2. Riassunto della Trama: Il secondo “crimine contro la natura e gli autori” è il riassunto della trama. Martin trova la quantità di riassunti di trama nelle recensioni e persino negli articoli critici del genere “sbalorditiva e disgustosa”. A volte, il riassunto è l’intera recensione, che si spaccia per un’affermazione critica. Egli distingue tra recensioni e critica: i recensori si rivolgono a un pubblico che non ha letto il libro e fungono da “guide all’acquisto”, mentre i critici scrivono per persone che hanno già letto l’opera, offrendo approfondimenti e interpretazioni. Sia i critici che i recensori non dovrebbero impegnarsi in riassunti estesi.
3. Per spiegare perché il riassunto della trama è così “terribile”, Martin cita un passaggio da Il mondo secondo Garp di John Irving. La domestica Jillsy Sloper afferma che legge i libri “per scoprire cosa succede”. Martin si identifica completamente con questa idea, definendola la “ragione fondamentale per cui leggiamo”, l’essenza stessa della storia. I riassunti della trama, specialmente da parte dei recensori, privano i lettori di questo “piacere più semplice e fondamentale”. Martin deride l’idea che l’unica cosa da non rivelare sia il finale, paragonandola a “un tizio che promette di non colpirti al naso e poi ti spacca tutti i denti con un’asse di legno”. Sostiene che il finale dovrebbe essere una logica conseguenza di ciò che lo precede, non l’unica sorpresa. Il suo desiderio è che i recensori non rivelino né l’inizio, né il centro, né il finale del suo lavoro. Un recensore dovrebbe consentire al lettore di sperimentare il libro per la prima volta come farebbe un editore, scoprendo gli eventi e le informazioni man mano. I riassunti della trama dei recensori “colorano” le risposte e le aspettative dei lettori prima ancora che abbiano letto la prima parola, derubandoli della sorpresa e del piacere della scoperta. Martin cita esempi concreti dal suo romanzo Dying of the Light, dove recensori hanno rivelato colpi di scena significativi. Non solo i riassunti della trama ingannano i lettori, ma anche gli stessi “malcapitati dipendenti dalle recensioni” come lui, che si ritrovano a leggere essenzialmente la stessa recensione più e più volte. Martin conclude che recensioni senza riassunti di trama sono possibili, richiedono “lavoro, abilità e intuizioni”, ma sono più utili e piacevoli da leggere. Per i critici, i riassunti sono un peccato meno grave, ma comunque uno spreco di tempo e spazio, poiché i lettori hanno già familiarità con l’opera.
4. Attacchi Personali: Infine, Martin invoca un senso di “decentra e prospettiva” nella critica, lamentando la sua assenza crescente nel genere. Ammette che le “animazioni personali” e “l’invidia professionale” si mascherano talvolta da recensioni, avendone lui stesso subito le conseguenze. Sottolinea che il focus dovrebbe essere sull’opera – se è buona o cattiva, perché, come si relaziona ad altri lavori e al genere – non sui compensi o i premi degli scrittori. Condanna il degrado dei dibattiti critici in “insulti”, affermando che termini come “idiota” o “buffone senza talento” non sono “gergo critico standard”. L’obiettivo dovrebbe essere “demolire i libri, demolire gli argomenti; non gli scrittori e i critici, per favore”.
Le regole di Martin sono semplici: “ottenere i fatti corretti. Non riassumere le trame. Giocare onestamente.”. Egli è scettico sul fatto che il suo discorso avrà un impatto significativo, credendo che i buoni recensori già seguano queste regole e che quelli cattivi non ascolteranno. Nonostante il suo pessimismo, continuerà a leggere le recensioni e a sottoporre la sua finzione alla loro “tenera mercé”.
Per concludere, Martin si rivolge direttamente ai fan e ai lettori, i “giudici ultimi”. Li esorta a scrivere lettere ai critici che commettono questi “peccati”, esponendo gli errori dei loro modi. Se ciò fallisce, la sua ultima, e più forte, esortazione è: “Uccidi il bastardo prima che scriva di nuovo”. Questo finale provocatorio sottolinea la sua frustrazione e il suo desiderio di un miglioramento radicale nel campo della critica.