George R.R. Martin: tra sogni di gloria e reali umiliazioni

Nel maggio del 1983, a Washington D.C., un George R.R. Martin già affermato e riconosciuto, in qualità di Ospite d’Onore al Disclave, ha offerto al pubblico un viaggio nostalgico e profondamente autoironico nel suo passato, rievocando la sua primissima convention di fantascienza: il Disclave del 1971. Con il suo caratteristico umorismo e una schiettezza disarmante, Martin ha svelato le delusioni, le stranezze e le rivelazioni che hanno plasmato il suo percorso da aspirante scrittore a gigante della letteratura fantasy e di fantascienza.

Il Martin del 1971 era molto diverso da quello del 1983. Con capelli lunghi fino alle spalle, ma ancora sbarbato (avrebbe smesso di radersi solo nel 1974), la sua moda era tutt’altro che casual. Ha descritto con vividezza il suo “outfit da Pimp Hippie Psichedelico”, che includeva stivaletti con cerniera, pantaloni a zampa di elefante bordeaux, una camicia verde brillante aderente, una sciarpa apache di raso nero e, il pezzo forte, la sua celebre giacca sportiva doppiopetto gessata giallo senape. L’ironia non manca quando Martin rivela di possedere ancora la giacca, ma che nel 1971 era “circa venticinque chili in meno” e non gli entra più. La sua compagna, Parris, gli aveva inoltre vietato di indossarla per il discorso, minacciando di farlo dis-invitare.

Ma perché un tale sfoggio? Martin, all’epoca, era uno studente laureato a Washington, D.C., che copriva il “Capitol Hill” per il Delta Democrat-Times. Non si poteva “vestire come uno straccione” quando si intervistavano senatori e membri del Congresso, quindi quel look era più o meno il suo abbigliamento abituale, con l’eccezione di una cravatta al posto della sciarpa apache. Credeva nel dare un “piccolo tocco di colore per ravvivare la monotonia di base dell’abbigliamento maschile”.

Oltre all’esigenza professionale, c’era una convinzione più profonda: Martin era convinto che sarebbe stato un “centro di attenzione” al Disclave. Dopotutto, non era un “semplice neofan”. Era un “sudicio professionista!”. Aveva venduto due storie: la prima pubblicata su Galaxy a febbraio, la seconda appena venduta a Ted White per Amazing. Con un totale di 94 dollari guadagnati dalla scrittura di fantascienza fino a quel momento, si aspettava un lauto trattamento da parte dell’editor di una “prozine importante”, magari una cena al Sans Souci con spese pagate. Si aspettava di impressionare i fan e firmare autografi. (Con un divertente commento, Martin rassicura il pubblico del 1983 che, nei dodici anni tra i due Disclave, era riuscito a raggiungere le “tre cifre, anche con una sola storia!”).

Le cose non andarono esattamente come previsto. Il viaggio per trovare il Disclave, che si teneva allo Shoreham Hotel, fu già un’odissea, dato che Washington nel 1971 non aveva la metropolitana. Ma il primo incontro nel con-suite si rivelò memorabile. Seduto al tavolo della registrazione c’era il primo fan di fantascienza che Martin avesse mai incontrato: un ragazzo “molto magro con i capelli lunghi fino alla vita e una barba estremamente arruffata e uno sguardo maniacale negli occhi”, che sembrava “una specie di Rasputin arancione”. Questo non era altri che Gardner Dozois.

Quando Martin pagò la quota di iscrizione, Dozois riconobbe il suo nome. Alla modesta ammissione di Martin di aver pubblicato una storia su Galaxy, Dozois esclamò: “Merda! Ho comprato quella storia!”. Dozois si presentò come editore di Galaxy, e Martin, che leggeva Orbit e aveva iniziato a ricevere la newszine mimografata Locus, riconobbe il nome. Ma la sua immagine mentale degli editori era basata su John W. Campbell, Jr., e “Gardner non assomigliava molto a John W. Campbell, Jr.”. Le speranze di una cena di lusso al Sans Souci iniziarono a svanire.

La realtà fu che, nonostante Gardner presentasse Martin ad altri come “un ragazzo che aveva pescato dallo slushpile” (il mucchio di manoscritti non richiesti), nessuno di loro aveva letto la storia. “Gardner era l’unica persona al Disclave, o nell’intero Distretto di Columbia, a quanto pareva, che fosse consapevole del fatto che avessi pubblicato una storia”. Martin, di natura timida, si sentiva “un po’ perso e impacciato” e tendeva a “confondersi con lo sfondo” – per quanto uno sfondo giallo senape e gessato lo permettesse.

Nonostante la sua timidezza, Martin ebbe alcune “memorie vivide”. Una di queste riguardava Terry Carr, l’Ospite d’Onore del 1971. Carr era incredibilmente disponibile e amichevole, ascoltando pazientemente le “domande stupide e ingenue” di un “neopro” e rispondendo come se Martin fosse una “persona vera”. Martin promise a sé stesso che, se mai fosse diventato GOH, avrebbe ricordato come Carr aveva trattato un novellino. Dodici anni dopo, nel suo discorso, Martin scherzosamente ha ribaltato quella promessa: “Andate a farvi fottere e lasciatemi in pace. Non assomiglio a Terry Carr, vero? Vado alle feste segrete dei professionisti a ubriacarmi con i miei amici”. Un momento di puro umorismo nerissimo.

Il con-suite del 1971 era un luogo “piuttosto eccitante”. Martin ricorda discussioni animate con altri neofiti sugli imminenti premi Hugo. C’era una donna che girava per il con-suite “indossando solo un bikini” e la gente le scriveva addosso. Martin, troppo timido per scrivere sul suo corpo, riflette che ci sarebbero voluti anni prima che diventasse “abbastanza importante da essere chiamato a firmare una parte dell’anatomia di una donna” (un aneddoto da un’altra convention). Tuttavia, un elemento che approvò immediatamente furono i “barili di birra gratuita”. Essendo uno studente laureato “molto povero”, la birra gratuita gli sembrava un’idea “assolutamente deliziosa”.

Anche i programmi diurni erano interessanti. Martin ricorda il suo primo panel: un panel per nuovi scrittori, dove sperava di essere chiamato dal pubblico. I relatori avevano cartelli con nomi come “l’Homer Eon Flint della sua generazione” o “l’Otis Adelbert Kline della sua generazione”. Uno di loro, “l’Otis Adelbert Kline della sua generazione”, bevve troppa birra e cadde dalla piattaforma. Quella notte, al con-suite, un fan veterano si lamentò aspramente del “Stanton A. Coblentz della sua generazione”, difendendo Coblentz come un “grande scrittore”. Martin ha scoperto che il “Stanton A. Coblentz della sua generazione” era in realtà George Alec Effinger, che confessò di non sapere nemmeno chi fosse Coblentz. Da questo episodio nacque l’umoristico nomignolo che Gardner Dozois gli diede: “Railroad”, per evitare confusione con George Zebrowski, che era “George”. Martin protestò, ma Gardner sottolineò che era meglio di “Piglet” o “Stanton A. Coblentz”.

Martin osservò anche per la prima volta un torneo SCA (Society for Creative Anachronism) nel prato dietro l’hotel. La vista di persone che si colpivano con spade di legno gli sembrò ancora più strana della donna in bikini, e i diplomatici sauditi che condividevano l’hotel trovavano lo spettacolo altrettanto avvincente. Finalmente, Martin incontrò Ted White, l’editore di Amazing, che “non era vestito altrettanto bene” di lui. Le visioni di Sans Souci si frantumarono mentre si stringevano la mano, notando come l’Amazing Look del ’71 fosse “denim” e oggi (nel 1983) “plaid”.

Nonostante le bizzarrie e le umiliazioni, il Disclave del 1971 “ha cambiato la mia vita, senza dubbio”. Tornato a casa quell’estate, Martin si dedicò alla scrittura con una ferocia senza precedenti, determinato a produrre e pubblicare abbastanza storie da poter un giorno “ascendere alla gloria di un panel per nuovi scrittori”. Fu spinto da un sogno e da “un sacco di pura e pustolosa invidia”, vivendo il periodo più prolifico della sua vita, e ogni storia che scrisse quell’estate fu venduta. “Senza Disclave, potrei essere ancora un giornalista. Senza Disclave, potrei ancora indossare cravatte”.

Fandom lo catturò “molto più duramente di D.C.”. Pochi mesi dopo, partecipò alla sua seconda convention, Noreascon I. L’esperienza al Disclave lo aveva reso più “sofisticato” e a suo agio. Eppure, anche a Noreascon I, l’umiliazione era in agguato. Martin incontrò un “fan di Dollens” con cui aveva discusso per ore al Disclave, ma questi non lo riconobbe. Martin dovette presentarsi, sottolineando le sue doppie iniziali: “Martin”, “George Ar Ar Martin”. Finalmente, il riconoscimento: “Oh, sì,” disse, “Railroad.” Martin trasalì. “Oh, sì,” continuò, “tu sei il —” Martin provò a dire “— scrittore,” ma l’altro concluse “— il ragazzo con quella giacca gialla”.

Il discorso si conclude con una massima umoristica ma incisiva: “Per avere una carriera in questo campo, devi fare impressione sui fan. È bello essere ricordati. Ed è bello essere tornati”. L’esperienza del Disclave 1971, con tutte le sue goffaggini iniziali e la mancanza di riconoscimento che sperava, non fu solo una serie di aneddoti divertenti, ma un momento cruciale che instillò in George R.R. Martin la motivazione e la spinta necessarie per diventare uno degli autori più influenti e amati del nostro tempo.

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