La presenza femminile nella scienza affonda le sue radici nel passato remoto. In Egitto, intorno al 2700 a.C., Merit Ptah era descritta come “capo medico”. Anche in epoca romana, una figura spicca su tutte: Ipazia di Alessandria, matematica e filosofa vissuta nel IV secolo d.C., simbolo di sapere e libertà intellettuale, brutalmente uccisa da una folla sobillata da fanatismi religiosi. Eppure questi nomi restano eccezioni in una storia dominata da pregiudizi e silenzi.
Durante il Medioevo, l’esclusione delle donne dalle università relega molte di loro alla marginalità. Tuttavia, alcuni conventi diventano veri e propri centri di cultura. Ildegarda di Bingen, badessa tedesca del XII secolo, scrive opere su medicina, botanica e scienze naturali. Nello stesso periodo, in tutto il mondo donne curano, studiano e tramandano saperi medici e botanici nelle proprie comunità.
Nel XVII e XVIII secolo, solo le donne più ricche o particolarmente determinate riescono ad accedere agli studi superiori. Margaret Cavendish, duchessa inglese, scrive di fisica sperimentale a nome proprio, un gesto rivoluzionario per l’epoca. In Italia, Laura Bassi è la prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria, mentre Maria Gaetana Agnesi riceve un incarico onorario in matematica. In Francia, Émilie du Châtelet e Sophie Germain riescono a farsi rispettare in ambienti ancora dominati dagli uomini. Nel campo dell’astronomia, Caroline Herschel scopre comete e rivede cataloghi stellari, lavorando al fianco del fratello William. Lei e la scozzese Mary Somerville diventano le prime donne ad essere elette alla Royal Astronomical Society.
L’Ottocento segna un punto di svolta. Le donne iniziano a lottare apertamente per il diritto allo studio. Nel 1849, Elizabeth Blackwell diventa la prima donna laureata in medicina negli Stati Uniti. In Russia, Sofya Kovalevskaya, impossibilitata a studiare in patria, ottiene il dottorato in Germania e diventa professoressa a Stoccolma.
Nel corso del XIX e XX secolo, nascono i primi college femminili. Molte donne entrano nel mondo della ricerca come assistenti di uomini celebri, in quello che è stato definito “effetto harem”. È così per le astronome Williamina Fleming e Annie Jump Cannon ad Harvard, o per le genetiste Rebecca Saunders e Muriel Wheldale a Cambridge. Ma alcune donne riescono a conquistare un posto da protagoniste. Marie Curie, scienziata polacca naturalizzata francese, vince due Premi Nobel, uno in Fisica (1903) insieme al marito Pierre, e uno in Chimica (1911) per la scoperta di nuovi elementi radioattivi. È la prima persona a ricevere due Nobel in discipline diverse.
Durante la Seconda guerra mondiale, molte donne lavorano in progetti scientifici strategici. Isabella Karle contribuisce al Progetto Manhattan, Grace Hopper diventa pioniera dell’informatica nella Marina USA, Rachel Carson studia l’ambiente acquatico per il governo.
La storia della scienza è anche piena di donne dimenticate o oscurate da colleghi uomini. Lise Meitner calcolò l’energia liberata dalla fissione nucleare, ma il Nobel andò al suo collaboratore Otto Hahn. Rosalind Franklin, con la sua foto ai raggi X del DNA, rese possibile la scoperta della doppia elica, ma il premio fu assegnato solo a Watson, Crick e Wilkins. Jocelyn Bell Burnell, scopritrice delle pulsar, fu esclusa dal Nobel assegnato al suo relatore.
A partire dagli anni ’60, con il movimento femminista e l’accesso alla contraccezione, le donne iniziano a costruire carriere autonome nella scienza. Sempre più ragazze scelgono discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) e oggi, nei Paesi occidentali, quasi la metà delle lauree in medicina e scienze biomediche è ottenuta da donne. Anche in matematica e fisica i numeri crescono, mentre l’ingegneria e l’informatica restano ancora settori a prevalenza maschile. Donne come Dorothy Hodgkin (Nobel per la Chimica, 1964) e Barbara McClintock (Nobel per la Medicina, 1983) hanno finalmente ottenuto il riconoscimento meritato. Ma la scalata ai vertici accademici e scientifici è ancora più difficile per le donne che per gli uomini, non solo in laboratorio, ma anche nel business, nella politica e nella dirigenza.
E come non dimenticare l’italiana Rita Levi Montalcini, una delle menti più brillanti del Novecento, premio Nobel per la Medicina nel 1986 per la scoperta del fattore di crescita nervoso (NGF). La sua vita è un esempio di coraggio, determinazione e amore per la conoscenza: nonostante le difficoltà e le discriminazioni subite, in un’epoca in cui alle donne era spesso negata la possibilità di affermarsi nel mondo scientifico, riuscì a lasciare un’impronta indelebile nella ricerca e nella storia dell’umanità. La sua eredità è un invito a credere nella forza della curiosità e nella capacità di ogni donna di contribuire al progresso della scienza e della società.
Oggi, essere una donna nella scienza non è più un’eccezione, ma la strada verso una vera parità è ancora lunga. Le nuove generazioni, però, crescono con più modelli femminili da seguire e con la consapevolezza che l’intelligenza non ha genere. Come diceva Florence Sabin: non serve avere più cervello, basta usarlo tutto.