La produzione industriale di pasta in Italia

La produzione industriale di paste alimentari occupa in Italia circa 7.500 addetti che operano in 125 impianti produttivi di medie e grandi dimensioni.

La filiera vede anche il coinvolgimento di oltre 200.000 imprese agricole, per una superficie di quasi 1,5 milioni di ettari e di oltre 350 imprese molitorie che occupano 4.600 dipendenti con un giro d’affari di poco inferiore ai 4 miliardi di euro.

Il valore della produzione pastaria – che per oltre l’86% è rappresentata da pasta secca, per l’11% da pasta fresca e per meno del 3% da pasta surgelata – si attesta sui 4,6 miliardi di euro ai cui corrisponde un volume di circa 35 milioni di quintali.

La distribuzione territoriale degli stabilimenti vede una sostanziale equivalenza tra Nord e Sud, rispettivamente con il 42% ed il 43%, mentre il 15% degli impianti è localizzato nell’Italia Centrale.

La metà della produzione nazionale è realizzata in quattro regioni: Veneto, Campania, Lombardia e Abruzzo e, a fronte di un consumo interno pari a poco più di 15 milioni di quintali  (a cui corrisponde un consumo pro capite di 25,3 kg) risulta evidente il peso che ha l’export per il settore.

L’Italia rappresenta il 73% della produzione pastaria complessiva europea e il 33,2% di quella mondiale e le sue esportazioni nel 2014 hanno raggiunto il valore di 2,26 miliardi di euro, coprendo il 64% delle esportazioni europee di paste alimentari nel mondo.

Le principali destinazioni delle paste alimentari italiane nel mondo sono rappresentate dalla Germania (18,0%), Francia (14,5%), Regno Unito (13,7%) e Stati Uniti (10,5%).

Il settore ha vissuto nel corso degli anni un significativo processo di concentrazione industriale (si pensi che oggi il 48% del mercato nazionale è controllato dalle prime quattro aziende) che ha visto, a partire dagli anni sessanta, la cessazione dell’attività di centinaia di pastifici e l’affermarsi di nuovi metodi di lavorazione che hanno determinato come elemento prevalente della competizione tra imprese, i costi di produzione.

Questo per alcuni decenni ha comportato un generalizzato decadimento della qualità delle produzioni, determinato dall’utilizzo generalizzato delle trafile al teflon e dall’abbassamento dei tempi di essiccazione, che se da un lato consentono di ottenere un prodotto con caratteristiche di maggiore stabilità, dall’altro favoriscono l’utilizzo di materie prime di minor pregio.

La riscoperta, da parte di molte imprese, in prevalenza artigianali, delle trafile al bronzo e il ricorso a tempi di essiccazione molto più vicini alle 24 -28 ore che alle 3 ore previste per le essiccazioni ad altissime temperature, ha consentito negli ultimi 20 – 25 anni un recupero delle produzioni tradizionali e ha permesso che non andasse perduto un patrimonio di esperienze, saperi e capacità che hanno fatto dell’Italia il leader mondiale assoluto nella produzione della pasta.

Il fenomeno della diffusione di imprese di piccole dimensioni nel settore delle paste alimentari ha portato ad avere oggi la presenza sul territorio nazionale di circa 1500 realtà, impegnate nella produzione sia di pasta fresca (circa 1.300) che secca (oltre 200) , che rappresentano sicuramente un solido presidio delle tradizioni agroalimentari delle regioni italiane.

Le piccole realtà produttive nel settore della pasta secca devono comunque confrontarsi, oltre che con un’incidenza molto alta del costo del lavoro causata da maggiore discontinuità produttiva, tempi lunghi di essiccazione e maggiore manualità nel processo produttivo, anche  con i prezzi della materia prima determinati dalla grande industria molitoria e con un mercato che per oltre il 70% è controllato dalla GDO.

Si trovano quindi di fatto compresse, all’interno della filiera, tra i fornitori di semola di grano duro e la GDO con un potere contrattuale estremamente ridotto o talvolta quasi nullo. Le uniche vie d’uscita sono perciò rappresentate dal mantenimento/miglioramento dei livelli qualitativi del prodotto, dalla valorizzazione di canali distributivi diversi dalla grande distribuzione e dall’incremento dei volumi destinati all’esportazione.

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